Incapaci?

Accettare di non sapere, o non saper-fare, è la condizione necessaria per aprirsi ad imparare. Oggi, beninteso, siamo capaci di fare molte cose tra le quali gestire e far funzionare le nuove tecnologie della comunicazione o dell'automazione. Ma più familiarizziamo con queste possibilità tecnologiche più sentiamo di perdere (e temo in maniera irrimediabile) le conoscenze e le abilità per capire e padroneggiare le tecnologie che non sono "nuove". Sapremmo sfruttare a fondo un impianto domotico accendendo le luci della camera mentre siamo al supermercato ma non sapremmo cambiare una lamapadina fulminata. O elencare le qualità prestazionali di un'auto senza aver la più pallida idea di come cambiare l'olio del motore.

Non voglio rubare il lavoro agli specialisti ma fare in modo di sentirmi più "padrone" di ciò che uso tutti i giorni. E farlo in un'ottica formativa, pensando alle nuove generazioni, che rischiano di soffrire d'inedia qualora saltasse l'energia elettrica per mezza giornata.

   

Ho pensato e cercato alcune categorie nelle quali spacchettare la "tecnologia" e per ciascuna proporre alcuni percorsi o più semplici esperienze che portino a "scoprirsi più capaci" e non schiavi di ciò che funziona intorno a noi. Il target sono i bambini e le bambine della scuola di base, laddove il potenziale di apprendimento e voglia di scoprire sale verso l'apice.

Il mio lavoro è solo un inizio, un primo passo. Forse è più l'espressione di un desiderio, di una valorizzazione delle abilità tecniche e manuali non seconde a quelle morali o intellettuali, di una conservazione del sapere pratico che se non ha ispirato, almeno ha mantenuto il genere umano.

 

Dal libro di Guido Viale "La civiltà del riuso" (ed. Laterza, 2010)

(...) siamo tutti, o quasi, persone che sanno sempre meno "mettere le mani" nelle cose che usano; o anche solo rivolgersi alla persona giusta perché lo faccia al nostro posto. Costringendoci così a sostituire l'apparecchio o l'oggetto guasti od obsoleti, comprandone di nuovi.

(...) riparare un oggetto vuol dire conoscerlo a fondo; sapere come e perchè funziona; saperci "mettere le mani dentro" ma anche trovare o disporre delle parti che richiedono una sostituzione.

(...) la presenza e il grado di diffusione nel tessuto sociale di conoscenze e abilità del genere danno la misura del peso che in un determinato assetto sociale viene riservato alla cultura materiale; cioè alla "cultura" degli oggetti della vita quotidiana: dagli ingredienti della cucina agli strumenti di lavoro, dalle strutture dell'abitare ai mezzi per garantirsi la mobilità, ecc.

Citando John Dewey in "democrazia e educazione"

(...) gioco e lavoro sono ugualmente liberi e intrinsecamente motivati. (...) Psicologicamente il lavoro non è che un'attività che include coscientemente il rispetto per le conseguenze come parte di se stesso.

(...) Il lavoro che rimane permeato dell'atteggiamento proprio del gioco è arte.

Stefano Micelli in "Futuro artigiano"

(...) invece di pensare a cosa costruire, bisogna costruire per poter pensare meglio.

 

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