L'insegnante è un artigiano
Tra le tipologie di lavori del genere umano, quella dell'artigiano è tra le mie preferite. Mi piace vedere il mio lavoro di insegnante come l'impegno di bottega dell'artigiano per diverse assonanze: ogni giorno, ogni processo, ogni prodotto è nuovo ed unico; il tempo si dilata e si lascia programmare a fatica; l'esperienza e la saggezza del lavoro si costruiscono lentamente e forse non saranno mai complete; il “prodotto” dei miei sforzi dialoga con me e io non posso che considerarlo nella sua integrità. Oggi per chi vuole iniziare ad insegnare nella scuola primaria e nell'infanzia è previsto un percorso di studi universitario che comprende un ampio monte ore dedicato al tirocinio che permetta al futuro artigiano di capire se quella possa essere la “sua” strada e di iniziare a far “pratica”. La formazione propedeutica è molto buona e l'ingresso in “bottega” ben preparato. C'è però una particolarità: nelle botteghe artigiane l'apprendista aveva davanti a sé un lungo affiancamento e non poteva sapere quando gli avrebbero dato la fiducia per fare il suo primo prodotto in autonomia. Nella scuola invece, fin dalla prima ora del primo giorno di lavoro, è richiesto il medesimo “risultato” dell'artigiano con quarant'anni di scuola sulle spalle. Identico.
Mattoncini per costruire
Un tempo esistevano i mattoncini per costruire, erano un must tra i giocattoli per bambini.
Una sola forma di base con la quale creare qualsiasi altra forma. Erano robusti, facili da usare, immortali. Oggi esistono ancora prodotti simili forse solo nel logo ma non credo si possano più chiamare mattoncini. Hanno migliaia di forme base che permettono di creare solo il prodotto prestabilito con poche varianti. Hanno parti più fragili, non si assemblano sempre tra loro, incanalano la creatività.
Certo, il prodotto finito è molto più realistico, da soprammobile magari; costringe a dover acquistare anche gli altri complementi della serie per non restare indietro. Con i vecchi mattoncini invece si poteva costruire un'astronave e poi disfarla per farne un castello o una pistola a grandezza naturale per poi tornare all'astronave ma con qualcosa in più.
A vivere in campagna
Sergio è andato a vivere in campagna. In tanti avevamo avuto, magari anche solo per pochi giorni, il suo stesso sogno, la medesima tensione a cercarsi qualcosa di più giusto. Non necessariamente migliore ma di certo più adatto a sé, più sensato forse.
Vivere lavorando la terra, svegliarsi al canto della natura con l'unica preoccupazione di fare l'orto o sistemare il pollaio. Incontrare poche persone ma incontrarle davvero, sotto la pergola, dandosi tempi lunghi, lenti e pieni. Parlare del tempo, dei frutti, del vino. Non preoccuparsi dell'abito e in funzione di ciò a cui serve.
Quanta invidia e voglia di seguirlo quando Sergio ha dato la notizia. Poi ognuno fa i propri calcoli, i conti coi progetti e decide di restare. Magari ricavandosi un piccolo orticello con quattro verdure per non ammettere che l'idea sia del tutto buttata e che qualcosa di giusto si possa fare comunque.
Santa Lucia 1986
Nella bergamasca e in altre province lombarde la tradizione assegna alla Santa di nome Lucia il compito di portare doni ai bambini in anticipo su tutti, da Babbo Natale alla Befana. La magia dell'attesa è la medesima in ogni angolo del mondo. Quell'anno lei portò a me e ai miei fratelli un banco da lavoro in legno massello costruito con la perizia, oggi posso dirlo, tipica di mio padre.
Era un tavolo adatto alla nostra altezza, sulla destra era ben fissa una morsa di legno e più in alto, agganciati al pannello posteriore, facevano bella mostra di sé un martello, un cacciavite a croce e uno a taglio, un seghetto da legno, diverse scatolette di plastica colorata piene di chiodi, viti e dadi.
Completava il banco una pinza e alcuni fogli di carta abrasiva.
Ringrazio ancora oggi questa Santa Lucia non tanto per la bella idea quanto per il coraggio d'averci fatto trovare (e implicitamente dato la possibilità di usare) attrezzi veri.
Il campo scout
Annovero il campo scout tra le esperienze educative più intense e indimenticabili che si possano vivere nell'adolescenza.
Il campo ha una durata di dieci – quindici giorni ed è allestito nel bosco. Io l'ho vissuto sempre nelle valli orobiche, costruendo un rialzo per la tenda legando diversi pali di legno ai tronchi degli abeti.
Il succo dell'avventura credo possa stare, oltre che nella condivisione delle fatiche e delle soddisfazioni, nella possibilità di mettersi in gioco sul serio e non banalmente “per gioco”.
Ingegnarsi e lavorare, anche duramente, per rendere la vita al campo quanto più possibile funzionale e comoda. E poi far la legna, cucinare, lavare, costruire per arrivare sopravvissuti alla fine.
L'arte contemporanea
In quasi tutte le città europee è visitabile una galleria d'arte contemporanea. Molte volte la visita vale la pena per il contenitore, l'architettura che è stata scelta per consacrarla. Non parlo di gusti o tendenze del mercato dell'arte perché non saperi proprio che dire.
Potrei dire però di alcune terribili sensazioni che spesso mi crescono dentro passando da una sala all'altra. Anzitutto l'idea che l'etichetta di “arte” sia assegnata secondo criteri inaccessibili ai più o affidata dall'artista alla propria opera in virtù di un narcisismo più sviluppato che in altri non-artisti. In secondo luogo, nello sforzo di cercare e cogliere la provocazione e lo sguardo diverso sulla vita che l'artista mi sta offrendo, mi sorge il dubbio che l'autore non possegga ne' padroneggi alcuna tecnica, alcuna abilità artistica.
Gioco libero nei cortili
Per poter imparare sono necessari la volontà, il tempo, lo spazio, lo occasioni adatte. Se abbiamo come priorità il desiderio di veder crescere i bambini, dobbiamo conceder loro questi ingredienti. Non sempre facile suscitare entusiasmo e motivazione, non facile nemmeno trovare e costruire le occasioni giuste, soprattutto frequentissimo occupare tutto il tempo e lo spazio potenzialmente libero a disposizione dei bambini con attività e occupazioni dei "grandi". La "liberazione" di questi luoghi e ore può passare anche attraverso scelte politiche che ne determinino l'assoluta importanza e centralità per la qualità della vita presente e futura di una comunità.
Da alcuni anni il comune di Torino ha scritto nel proprio regolamento di polizia urbana (art. 42) che: (...) la Citta' di Torino riconosce il diritto dei bambini al gioco e alle attivita' ricreative proprie della loro eta' e dando la possibilità ai condomini di regolamentare il gioco dei più piccoli solo in alcune fasce orarie più sensibili.
Ora anche il comune di Milano si muove nella medesima direzione:
So fare o non so fare

Questa mattina, appena alzato, ho raggiunto il bagno ma appena premuto l'interruttore un breve gemito di luce ha decretato la fine della lampadina.
Dopo un'imprecazione più o meno adatta all'occasione ho afferrato una sedia e mi sono portato all'altezza del lampadario per sfilare il vetro e recuperare la morta lampadina.
Forse mossa dall'imprecazione di prima, mia moglie mi ha raggiunto per capire che cosa fosse accaduto e per dare quindi il proprio contributo alla riparazione chiedendomi, nell'ordine: se sapessi cosa fare, se fossi in grado di farlo, se avessi preso le precauzioni, se le precauzioni fossero quelle adatte, se non fosse il caso di chiedere aiuto implorandomi infine di non lasciarla vedova che non si sentiva pronta.